Il 30 novembre 2021 il Trio Hemispheria, composto dal soprano Damiana Mizzi, Roberto Mansueto al violoncello e Marcos Madrigal al pianoforte, presenterà per il Festival di Nuova Consonanza un ricco programma di brani cameristici per questo insolito trio nella splendida cornice del Teatro di Villa Torlonia, a Roma.
Al centro della serata l’opera da camera Qui nella Torre di Daniele Carnini, su libretto di Renata Molinari. L’opera, in prima esecuzione assoluta, racconta in un atto unico la storia di un hikikomori, adolescente che sceglie di isolarsi dal mondo esterno ed avere contatti con i suoi coetanei solo tramite l’intermediazione dei videogiochi.
Per l’occasione, Marica Coppola ha incontrato il compositore e dal loro dialogo è uscita fuori una lunga intervista pubblicata su Quinte Parallele, di cui vi riportiamo alcuni passaggi.
Passiamo adesso al libretto dell’opera. Leggendolo, mi risulta chiara la contrapposizione tra la solitudine di Andrea, che interagisce con il mondo esterno solo attraverso la competizione spietata di un videogame online, e la vita in gruppo dei suoi coetanei, fatta di passeggiate e tempo libero. È la rappresentazione di quella dialettica del ‘dentro-fuori’ a cui hai accennato prima, che si fa ancora più attuale soprattutto considerando il vissuto della pandemia negli ultimi due anni …
Premetto che l’opera è stata concepita ancor prima della pandemia, è una creazione indipendente da questo evento. Forse, però, niente avviene per caso… mi sembra che la pandemia abbia infatti solo accelerato dinamiche già esistenti nella nostra società, toccate anche in Qui nella torre. Uno dei danni più gravi lasciatici dalla pandemia, specialmente nei primi mesi del 2020, è stata la compromissione del senso di comunità. Ricordo di aver scritto dei pezzi per coro in quel periodo, proprio per esigenza di ribellarmi a questo scenario. La comunità è un equilibratore: se non ci confrontiamo con l’altro rischiamo di perdere la misura di chi siamo. La società esiste per non essere lasciati a noi stessi al punto da non sapere più che cosa è bene o male… da questo punto di vista, la vicenda di Andrea è purtroppo attuale e dolorosa, non c’è dubbio.
Forse, andando più a fondo, la ‘torre’ di Andrea rappresenta l’aspetto estremo di una società in cui gli alti livelli di competizione, in ogni campo della vita, potrebbero spingerci tutti ad essere – per riprendere Hobbes – «homo homini lupus», ciascuno dalla sua ‘torre’… è possibile intravedere nell’opera anche questo tipo di messaggio?
L’idea di Hobbes come allegoria della condizione attuale funziona, ma ammetto che non ci è venuta subito. Più che la diffidenza, ad ingannare Andrea è il suo fallace senso di autosufficienza: la sua superba rinuncia alla comunità, il suo sentirsi di vivere una vita più intensa e meno banale nascondono infatti un grande pericolo, che non riguarda solo gli adolescenti. I traguardi immaginari che ci poniamo di continuo nelle nostre vite possono essere, specialmente su delle menti non strutturate a sufficienza, pericolosissimi: sono quindi pienamente d’accordo su questa lettura dell’opera estesa al contesto della nostra società attuale.
L’intervista integrale è disponibile qui.